STUDIO LEGALE ASSOCIATO - MILANO

La Cassazione legittima il sequestro del pc dell'avvocato per verifiche inerenti lo stato di malattia

Il Giudice concede il rinvio ma comunque si apre una inchiesta per verificare se le dichiarazioni e la malattia sono vere o false.
Nell’ambito del procedimento penale nel quale i due avvocati sono indagati di falso, il Pm emette un decreto con il quale si dispone il sequestro del pc di proprietà dei due avvocati, al fine di verificare se nello stesso giorno in cui risultavano ammalati avessero svolto una qualsiasi attività di natura professionale.

Impugnazione del  decreto di sequestro.

Avverso il decreto gli avvocati avevano presentato ricorso eccependone  la illegittimità, in particolare contestando la violazione del diritto di difesa e del segreto di ufficio. 
Secondo i ricorrenti le garanzie dettate dall’art. 103 c.p.p. che prevedono l’obbligo di comunicare la perquisizione al consiglio dell’ordine professionale e la presenza in tale frangente dello stesso giudice del PM, devono essere applicate anche quando indagato è lo stesso professionista .
I ricorrenti contestavano anche il fatto che il decreto di sequestro avrebbe violato il sequestro professionale in quanto i beni sottoposti a sequestro contenevano anche dati relativi  ai rapporti con i clienti.

La decisione della cassazione.

La questione, in sede cautelare, è stata portata al vaglio della Suprema Corte.
La Cassazione con sentenza n. 35269/2013 ha rigettato tutte le istanze difensive, ritenendo che :
1) Il sequestro dei due pc con i documenti sulla attività degli avvocati serviva  solo a verificare, attraverso i file, se i legali, nei giorni in cui avevano certificato l’assoluto impedimento a presenziare alle udienze avessero svolto altrove il loro lavoro, e quindi la  "pertinenzialità tra i beni sequestrati e le indagini in corso”.
2) E’ impossibile applicare la normativa che prevede garanzie per gli avvocati, in quanto i due erano interessati alle indagini non come avvocati difensori bensì come indagati.
3) Nel caso di specie non è opponibile il segreto professionale in quanto il sequestro dei file non era finalizzato alla verifica del merito dell’attività svolta dagli indagati, ma serviva a scoprire se e dove tale attività era stata svolta. Il provvedimento coercitivo, infatti, non riguardava comunicazioni o messaggi di posta con i clienti che potevano trovarsi nel computer ma solo gli orari del lavoro svolto dai difensori che avevano dichiarato il legittimo impedimento per malattia.

Considerazioni.

La notizia la abbiamo appresa da organi di stampa e non abbiamo letto il testo integrale della sentenza.
Questa precisazione è importante perché potrebbero sfuggirci elementi essenziali per comprende meglio la vicenda processuale.
In ogni caso è sorprendente notare come si è aperta  su una "indagine” per verificare la veridicità di una richiesta  di legittimo impedimento : e questo deve farci ritenere che la stessa ( magari  perchè presentata da due difensori  pare nello stesso processo ) presentava già delle criticità
In ogni caso la motivazione della Cassazione ( che ripetiamo si è pronunciata in sede cautelare)  appare corretta in quanto limita l’oggetto del sequestro all’ambito della verifica dell’orario dei files per verificare se in quell’arco temporale gli avvocati ( impediti) avessero  lavorato e che tipo di lavoro avessero svolto.
Non convince il rigetto del motivo riferito alla assenza delle guarentigie di cui all’art. 103 c.p.p., infatti proprio  questa norma al 3° comma stabilisce l’obbligo di avvisare il consiglio dell’Ordine forense di appartenenza perché il Presidente o un consigliere da questo delegato possa assistere alle operazioni.
E’ ovvio che tale evenienza si pone nel caso in cui l’avvocato è egli indagato.
La notizia sul punto non è chiara  ma sembra strano che la Cassazione abbia deciso ritenendo superfluo il rispetto di tale norma.
Comunque aspettiamo di leggere  la sentenza per esteso per capirne di più.
Altro dubbio riguarda (ma questo attiene al merito della vicenda) l’attività svolta dagli avvocati : ammesso che abbiano utilizzato il computer allorchè erano "ammalati” tuttavia è facile obiettare che spesso una malattia, sebbene lieve,  "impedisce” di uscire e andare in Tribunale ma non "impedisce” all’ammalato di   accendere un computer e predisporre atti propri  del suo lavoro.
Infine sarebbe interessante sapere se il medico che ha redatto i certificati è anche indagato.
In conclusione riteniamo, comunque,  che ci debba essere molta accortezza da parte dei difensori nel richiedere i rinvii, soprattutto se motivati da ragioni di salute proprie, ma nella vicenda in esame è anche opinabile ritenere falso l’impedimento solo perché da”malato” si è utilizzato il pc o gli altri strumenti informatici di cui è ormai piena la  giornata di ognuno di noi.
Riproponendoci di tornare sulla vicenda quando leggeremo il testo completo della decisione.

Avv Filippo Castellaneta