Mandato di Arresto Europeo. Il rifiuto di consegna per mancata indicazione dei termini di custodia.
PENALE/ Mandato di Arresto Europeo. Cosa è. IL Rifiuto di consegna per la mancata previsione dei termini massimi di custodia cautelare nello Stato Estero. L’intervento delle Sezioni Unite.
1. Premessa.
Con decisione quadro 2002/584/GAI il Consiglio Europeo previde l’adozione, da parte degli Stati UE, di un gruppo di norme relative al Mandato di Arresto Europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri nei limiti in cui dette norme siano compatibili con i principi supremi dell’ordinamento costituzionale in tema di diritti fondamentali, nonché in teme di diritti di libertà e di giusto processo.
Nel nostro ordinamento fu la legge n. 69 del 22 aprile 2005 ad attuare le decisioni della citata Decisione Quadro.
Il mandato di arresto europeo (MAE) è una decisione giudiziaria emessa da uno Stato membro della UE, in vista dell’arresto e della consegna da parte di un altro Stato membro di una persona al fine dell’esercizio di azioni giudiziarie in materia penale o dell’esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza privativa della libertà personale.
La legge in questione disciplina modalità e procedura del MAE prevedendo che lo stesso può avere attuazione soltanto nel rispetto dei diritti fondamentali previsti dalla Convenzione per la Salvaguardia dei diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali, e dei principi e regole contenute nella Costituzione della Repubblica attinenti al giusto processo ivi compresi quelli relativi alla tutela della libertà personale.
L’art. 18 della legge n. 69 prevede un elenco di casi nei quali è obbligatorio il rifiuto di consegna allo Stato Estero richiedente.
Si tratta di ipotesi specifiche per le quali si tende a fare in modo che i diritti di libertà e ad un equo e giusto processo nei confronti della persona da consegnare , vengano comunque rispettati e salvaguardati.
In particolare l’art. 18 lett. e) stabilisce che deve essere rifiutata la consegna qualora la legislazione dello Stato membro non prevede i termini massimi della carcerazione preventiva.
Sul punto pero, è intervenuta la Cassazione offrendo una versione quasi "sostituiva” di quella voluta dal legislatore.
2. La vicenda nelle decisioni della Corte di Cassazione.
La Cassazione sin dal 2006, con sentenza della sez. VI n. 16542 dell’8.5.2006 ha stabilito che in tema di MAE l’art. 18 lett. e) della legge 69/2005 impone il rifiuto della consegna se la legislazione dello Stato emittente non prevede i "limiti massimi della carcerazione preventiva”, non potendo ritenersi equipollente la previsione di meccanismi di controllo periodico della durata della detenzione preventiva (in applicazione di tale principio la Corte Suprema annullò la decisione della Corte territoriale che aveva disposto la consegna di una persona allo Stato del Belgio, il cui ordinamento non prevede limiti massimi di custodia cautelare, bensì una serie di controlli con cadenza mensile volti al rispetto della ragionevole durata della detenzione sancita dalla Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo.
A questo punto si levarono le critiche di una parte della dottrina che vedeva in questa decisione una sorta di "passo indietro” rispetto a quel sistema decisionale che la decisione quadro aveva voluto superare, e vi furono quindi pronunciamenti difformi da parte di altre sezioni della Cassazione.
La norma- faro, in materia, resta comunque l’art. 5 comma 3 della Convenzione per la Salvaguardia dei diritti dell’Uomo firmata a Roma il 4 novembre 1950 che prevede il diritto della persona arrestata di essere condotta davanti ad un giudice o ad un altro magistrato designato dalla legge ad esercitare funzioni giudiziarie, ed al consequenziale diritto ad essere giudicato in un tempo congruo o ad essere liberata nel corso del procedimento.
I rilievi critici alla citata decisione del 2006 derivavano dalla circostanza secondo la quale, per non vanificare lo spirito del MAE, occorreva che le Corti avrebbero dovuto verificare che, anche in assenza nel Paese richiedente di una previsione sui termini massimi di carcerazione preventiva, le esigenze sottostanti quel principio declamato dall’art. 5 comma 3 della Carta Europea dei diritti dell’Uomo, venisse garantito con l’applicazione di analoghe forme processuali di controllo della ragionevole durata della misura.
Inevitabile allora fu l’intervento delle Sezioni Unite penali.
E quindi la sentenza delle SS.UU del 30 gennaio 2007 n. 4614, ha stabilito che "l’autorità giudiziaria italiana deve verificare se nella legislazione dello Stato membro di emissione sia espressamente fissato un termine di durata della misura cautelare fino alla sentenza di condanna di primo grado, o, in mancanza, se un limite temporale implicito sia in ogni caso desumibile da altri meccanismi processuali che instaurino, obbligatoriamente e con cadenze predeterminate, un controllo giurisdizionale funzionale alla legittima prosecuzione della custodia o, in alternativa, alla estinzione della stessa”.
La Cassazione quindi secondo l’autorevole interpretazione della sentenza citata, fornita dal prof. avv. Giuseppe Frigo, si è sostituita al legislatore nazionale fornendo una "esegesi europeisticamente orientata della norma dell’art. 18 lett. e) della legge 69/2005”.
Sul punto specifico, va segnalata di recente, la sentenza n. 2739 della VI sez. penale della Cassazione del 23 gennaio 2020 che ha ritenuto legittima la consegna in virtù di un MAE emesso dalla Ungheria, Stato nel quale l’ordinamento prevede termini di durata massima della custodia cautelare sia nella fase delle indagini preliminari che nel corso del giudizio di primo grado nonché la possibilità di revoca della misura.
Avv. Filippo Castellaneta (studio legale associato Castellaneta, D’Argento & partners. MILANO.