Penale / Permanenza
dei dati e delle informazioni dell’indagato nelle banche dati della polizia per
20 anni dalla data di archiviazione.
Il D.p.r.
15/2018 ha recentemente attuato i principi del Codice della Privacy in
relazione al trattamento dei dati e delle informazioni contenute nelle banche
dati effettuato per ragioni di polizia.
In particolare il d.p.r. all’art. 10 comma terzo lett.f) si occupa delle informazioni
relative ad attività di polizia giudiziaria conclusasi con provvedimento di
archiviazione, fissando il termine per la conservazione dei dati in 20 anni dall’emissione del
provvedimento.
Peraltro, è previsto non solo che la
decisione di archiviare sia subito annotata in banca dati ma anche che, trascorsa
la metà del tempo massimo di conservazione (ossia 10 anni), ai dati possano
accedere solo gli operatori abilitati e designati.
Il caso: la Suprema Corte si è
pronunciata sul ricorso proposto da un professionista sottoposto ad indagini
penali, la cui posizione era stata archiviata in quanto estraneo alla vicenda,
il quale chiedeva che la propria iscrizione nelle banche dati della polizia
fosse rimossa in quanto non più utile e lesiva della propria immagine
professionale.
La Corte Suprema di Cassazione prima sezione
civile con ordinanza n. 21362/18
depositata il 29.08.2018 ha rigettato il ricorso proprio in applicazione del d.p.r.
15/18, sottolineando che "le norme in
esso contenute costituiscono il
risultato di un difficile bilanciamento tra l’interesse collettivo alla
prevenzione e repressione dei reati nonchè alla tutela dell’ordine pubblico e
quello individuale alla tutela della propria sfera di riservatezza”.
Pertanto, a parere della Suprema Corte, la
lunghezza dei termini previsti troverebbe uno specifico temperamento nelle
restrizioni e nelle cautele poste dal decreto del 2018, le quali fornirebbero
un quadro di garanzie tali da ritenere rispettati i vincoli derivanti dalla
normativa sovranazionale ed internazionale.